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Vajont


di Massimiliano Losini
11 immagini - 439 kb
data di pubblicazione: 7 Gennaio 2008



tags: diga, longarone, sade, vajont

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9 Ottobre 1963 ore 22.39: L'Olocausto del Vajont


reportage
Tutto è cominciato alcuni anni fa, quando una sera mi recai al videonoleggio vicino casa. La mia curiosità venne attirata più che dal titolo "Vajont", (Vajont - La diga del disonore, 2001) dall'immagine che accompagnava la locandina.
Una diga sovrastata da un'immensa onda che la scavalcava parecchi metri sopra.
Dopo aver osservato l'immagine pensai se già tempo prima avevo sentito nominare quel nome... Vajont.

Forse in casa da parte dei miei genitori ma non ne ero certo per cui decisi di tagliare la testa al toro e di noleggiare il film per, eventualmente, rinfrescare la mia memoria. La trama mi conquistò subito, una di quelle che premettono un evento catastrofico ma che in ogni caso, almeno inizialmente, mostrano una situazione serena, in cui un popolo degli anni '50-'60 lavora, vive la propria vita con le rispettive famiglie, lontano da intrighi politici e interessi economici. Una realtà semplice fatta di lavoro, tradizioni e genuinità. Ma poi l'attenzione passò all'arrivo nel 1956 di uno scomodo ospite e non di passaggio: la SADE (Società Adriatica di Elettricità).



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Una società definita "stato nello stato" dall'enorme potere decisionale che decise di costruire un'immensa diga allo sbocco della vallata del Vajont direttamente a monte di Longarone, una diga destinata oltre che a produrre elettricità a lanciare in Europa e nel mondo l'orgoglio della scienza e della tecnica italiane. Peccato che questo orgoglio non tenne conto di numerosi fattori, primo fra tutti il rispetto per gli abitanti del luogo, di Longarone, Casso, Erto, San Martino e altre piccole frazioni che avrebbero in seguito pagato a carissimo prezzo l'esuberante arroganza del monopolio della SADE e dei suoi attori.

L'arroganza dei potenti venne inizialmente mascherata con grandi promesse di rilancio economico e turistico dell'intera zona ma intanto la volontà preponderante fu quella di procedere in modo ostinato, trattando la vendita dei terreni che sarebbero stati poi inondati dal bacino a prezzi indecorosi, minacciando di esproprio coloro che si ostinavano a rimanere al loro posto. Fare leva sulla mancanza di visibilità mediatica e sulla faciloneria delle persone fu l'arma principale della SADE e per l'installazione di una caserma dei Carabinieri sul posto fu il fattore che andò a completare l'opera di controllo dei facinorosi che non si piegavano al sapere dei facoltosi tecnici dello Stato.

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A diga terminata cominciò il collaudo e si riempì a più riprese l'enorme bacino che avrebbe modificato permanentemente non solo il territorio, ma le abitudini dei residenti con l'immersione dei pascoli la cui parte rimasta emersa non sarebbe stata oltretutto raggiungibile a causa della mancanza di una strada percorribile.
Quella che era stata per secoli la fonte di reddito di un'intera vallata venne meno e gli animi ben presto si scaldarono prendendo coscienza del destino che li avrebbe accomunati. Il progressivo innalzamento dell'acqua provocò l'erosione delle sponde e solo troppo tardi ci si rese conto che il monte Toc non avrebbe retto all'affronto dell'uomo.

Il fim di cui vi ho parlato genera la propria trama da un libro molto interessante intitolato"Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont" Cierre Edizioni di Tina Merlin, una giornalista che in quel periodo lavorava per l'Unità che si battè fino all'ultimo per aprire gli occhi dei potenti, per impedire una carastrofe. Ma rimase non solo inascoltata ma venne pure querelata per aver diffuso notizie false.

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Al processo tenuto al tribunale di Milano il fatto risultò non sussistere e venne assolta ma questo sta comunque a dimostrare la tenace, cieca volontà del monopolio di concludere in fretta i propri progetti per ottenere contributi e per insabbiare al più presto una faccenda che ormai, alle soglie dell'anno 1963 stavano prendendo una piega davvero imbarazzante.
"Toc, monte malato; Salta, monte che trema. La toponomastica locale rivela antiche saggezze dei primi abitanti insediatisi nella valle, conoscitori di terreni e di rocce, assai più degli "esperti" venuti dopo." ("Sulla pelle viva" - Tina Merlin).
Ci furono iniziative volte a sensibilizzare politici, giornali e ogni via che potesse portare a conoscenza dell'Italia il dramma vissuto da un'intera vallata ma le poche risposte ottenute non sembravano dare molto peso alle preoccupazioni ormai diffuse. Numerose scosse cominciarono ad accompagnare le giornate degli ertocassani che conoscevano la natura friabile del terreno e attribuivano alla diga la causa di queste manifestazioni.

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Ma la SADE si impegnò ancora nella divulgazione di notizie false attribuendo le scosse a normali fenomeni tellurici.
Nel frattempo la SADE diventò ENEL ma i vecchi dirigenti vennero mantenuti e rimpiazzati prontamente come ad esempio Alberico Biadene, direttore del Servizio costruzioni idrauliche divenuto poi vicedirettore generale dell'ENEL. Un'operazione che scagionò la SADE in qualche modo solo per aver scaricato in tempo il barile all'ENEL ma che non cancellò nella memoria della coscienza le gravi responsabilità che generarono una serie di conseguenze materiali e morali sulle popolazioni del luogo. Si giunse così a quella notte fatale, drammatica, terribile.

La ex-SADE cosciente dell'imminente pericolo di frana del monte Toc all'interno del bacino intervenne troppo tardi per evacuare le popolazioni attorno al bacino della diga. "Sono ancora pochissimi i televisori privati e in Eurovisione c'è la partita di calcio Real Madrid-Rangers di Glasgow. Due squadre molto forti, una partita da non perdere.E infatti molta gente è scesa dalle frazioni a Longarone, e anche da altri paesi della valle, per godersi lo spettacolo nei bar. La gente si diverte, discute, scommette sulla squadra vincente".
("Sulla pelle viva" - Tina Merlin)

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Nessuno immaginò cosa stava per accadere se non una centralinista che per puro caso si trovò ad ascoltare una concitata conversazione tra un certo Rittmeyer, trattenuto alla diga e Biadene nel tentativo di avere istruzioni su cosa fare dato che dalla cabina di controllo erano ormai evidenti i movimenti degli alberi sull'opposta vallata. Ma ormai era troppo tardi. Ore 22.39 del 9 Ottobre 1963.

Si consumò l'immane tragedia del Vajont.

Una massa enorme di terra si staccò contemporaneamente dal monte Toc e piombò inesorabile dentro il bacino colmo d'acqua della robusta diga generando un'altissima onda che scavalcò senza esitazioni il suo bordo oltrepassando gli impedimenti rocciosi dell'immediato fronte. Una massa spropositata di acqua e fango preceduta da un violento spostamento d'aria si abbattè su Longarone e lo "cancella dalla faccia della terra". A monte della diga un'altra ondata impazzisce violenta da un lato all'altro della valle, risucchiando dentro il lago i villaggi di San Martino e Spesse.

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La storia del "grande Vajont", durata vent'anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l'olocausto di duemila persone". ("Sulla pelle viva" - Tina Merlin).
Sono parole dure quelle di Tina Merlin parlando addirittura di olocausto, ma date le premesse, l'ostinazione della SADE, dei suoi tecnici, il comportamento irresponsabile e criminale di troppe persone non permettono di trattare la questione in altro modo. Troppi erano stati i segnali di avvertimento inascoltati.

Dopo aver visto il film mi sono promesso di recarmi in Vajont ed è quasi inutile esternare la mia commozione trovandomi di fronte quel mostro di cemento armato, così... all'improvviso.
I miei pensieri sono corsi a ciò che avevo visto anche se sapientemente ricostruito digitalmente, rendendomi conto che in quel momento stavo calpenstando un suolo precedentemente abitato da migliaia di persone innocenti e strappate violentemente dalla loro terra. Longarone è rinato un po' più in là, ho attraversato le sue piazze e sostato brevemente per acquistare il libro di cui vi ho parlato.

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L'atmosfera è quella serena e rilassata di un normale paesino che ha saputo risollevare le proprie sorti e credo che nessuno potrebbe accorgersi di ciò che vi è accaduto senza che qualcuno glielo spiegasse. La diga è al suo posto, intatta e da Longarone tutto appare normale. Gruppi di ragazzi parlavano di motorini, cellulari e di tutto ciò che una normale compagnia dei giorni nostri può discutere e progettare.
Anche allora, quella notte, quelle persone avevano mille progetti per le proprie famiglie ma purtroppo non furono mai realizzati per l'incoscienza di un pugno di persone. Salendo verso la diga si scopre l'accaduto, un po' per volta.
Nelle immediate vicinanze della diga un primo pezzo di monte ma solo procedendo oltre, lungo la strada che conduce al monte Toc è possibile capacitarsi almeno in parte di quanto è accaduto. Chilomentri di montagna piombati giù nella diga, milioni di metri cubi di terra.
Come non accorgersi di una tragedia di tali dimensioni?

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Giunto al termine di questo lavoro voglio dedicare tutta la mia solidarietà a coloro che hanno subito direttamente o indirettamente le vicende di questi tragici fatti.
Leggendo il libro della Merlin emerge lo spirito fiero degli ertocassani ed essendo anch'io cresciuto in montagna non posso che condividere e comprendere la loro lotta e il loro attaccamento alla vallata del Vajont.

Spero che questa piccola pagina web possa contribuire alla memoria come monito per i posteri e ad onore e rispetto per tutti coloro che persero la vita in modo tanto assurdo.

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Per maggiori informazioni sulla diga.

Sito web di Massimiliano Losini: www.massimilianolosini.it



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commenti
  angy  [28 Agosto 2008 - 14:46]
sono molto legata a questi luoghi, mia madre era friulana, ci sono andata due volte ed è stata una  fortissima emozione, la stessa che mi prende ogni volta che guardo il film o peggio quando vedo la diretta di Marco Paolini...non trovo parole per esprimere al massimo il sentimento che ho dentro, complimenti per il reportage, forse riuscirò a terminare anche il mio prima o poi:-) ciao e grazie di cuore!
 Massimiliano [8 Gennaio 2008 - 23:19]
Grazie Simona,
sei molto gentile e mi fa piacere che ti sia piaciuta la mia ricostruzione.
Devo ringraziare molto i ragazzi di Photo competition che hanno impaginato benissimo il lavoro e lo hanno reso anche più presentabile.
La valle del Vajont è ricca di storia fin dai  tempi remoti ed è testimonianza di cosa può fare uno stato alla deriva come quello italiano che più volte nella sua storia si è mostrato cieco di fronte ad evidenze come questa. Purtroppo di fronte all'egoismo e alla fama talvolta certi personaggi perdono di vista il fatto che una nazione è prima i tutto composta da esseri umani con sentimenti e legami.
Ma per fortuna quando serve il popolo italiano si fa sentire... talvolta un po' tardi però...

Ciao e grazie Simona, piacere di averti conosciuta!
  Simona8  [8 Gennaio 2008 - 23:13]
ciao massimiliano, complimenti per il report.
proprio pochi giorni fa, andando in montagna, sono passata nella zona del vajont, avevo letto alcuni libri di mauro corona, nato e vissuto fino a pochi anni fa a erto, nel cuore della tragedia, ed è stato incredibile vedere quei posti, ricostruiti completamente, dopo averne lette tante storie di vita quotidiana dalle parole scritte di corona.
della storia, di come fosse potuto succedere, non ne sapevo molto e la tua precisa documentazione mi ha chiarito molte cose.
bravo.
simona



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