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Mostra

Simona Ottolenghi e Maria Cristina Pierazzi - Donne, tra quotidiano e ritualità

mostra di fotografia

8 Marzo 2010 - 30 Aprile 2010
Enoteca Cavour 313
Via Cavour, 313 - Roma
info: 06 6785496 - cavour313@libero.it
www.cavour313.it
ingresso: libero

tags: donna, donne, india, marocco, ottolenghi, pierazzi, quotidiano, rito, roma

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mostra
Simona Ottolenghi e Maria Cristina Pierazzi, attraverso le loro immagini ci raccontano il quotidiano e la ritualità delle donne che hanno conosciuto durante le loro esperienze di viaggio.


Simona ha incentrato il suo lavoro sulla vita delle donne induiste all’interno dei Templi nella regione del Tamil Nadu in India. Tempo e Spazio sono impregnati di religione, che dà loro quella forza di poter andare avanti con la speranza che qualcosa nella loro vita possa cambiare, attraverso riti, accensione di candele, preghiere agli dei… speranza che non trovano nella quotidianità domestica.

mostra



Cristina
ci accompagna in viaggio fra gli aspetti della vita delle donne musulmane in due paesi molto diversi tra loro, come il Marocco e la Turchia. Ne esce fuori un quadro inedito in cui gli stereotipi culturali riportati dai mass-media sembrano quasi capovolgersi.


Inaugurazione: lunedi 8 marzo alle ore 18.


Il profilo di Simona Ottolenghi su PhotoCompetition.
Tutti i suoi portfolio pubblicati.




Testo e immagini tratti dal comunicato stampa ufficiale.



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commenti
  robbb  [13 Maggio 2010 - 00:07]

L’india nelle foto di Simona Ottolenghi

 

 

L’India NON è così bella come le foto di Simona Ottolenghi vorrebbero farci credere, io ci sono stato e non ho sentito le stesse emozioni che provo nel guardare questa serie di splendide immagini.

 

Le foto raccontano di un’india silenziosa e introspettiva, ci mostrano posti in cui i ritmi sono lenti e i rituali hanno un valore sacro. La mia percezione è stata completamente diversa, ho visto più di un miliardo di persone affaccendate nella loro vita, non sono mai riuscito a vedere in uno scorcio visivo una sola persona che non fosse circondata da altre intorno ad essa. Nelle foto di Simona Ottolenghi invece si vedono persone con gesti rituali lenti e rispettosi, io al contrario mi sono stupito di quanta fretta avessero di adorare i loro dei. Ho visto persone avvicinarsi agli altari e gettare offerte con gesto deciso della mano, ho visto movimenti rapidi che mi hanno meravigliato per la loro superficialità, mentre in queste fotografie si nota con evidenza la sacralità di una mano che offre un lumino acceso, la gestualità rituale del segnarsi la fronte o l’eleganza del camminare.

 

Nell’India che ho visto io le persone vivono a stretto contatto, nell’India che Simona Ottolenghi ci racconta ciascuno vive una sua ritualità individuale di intimo contatto con il Divino. Nelle foto si percepisce un profondo silenzio che dal vivo non si sente. Queste immagini sconvolgono per la loro forza ma sono mute. Riescono a dare l’idea del silenzio. Nessuna foto ha il sonoro, ma mentre alcune trasmettono la sensazione dei rumori, in queste, inequivocabilmente, si può ascoltare il silenzio, la pace e la spiritualità di quei luoghi.

 

La fotografia, di nuovo, non è mai (per fortuna) la raffigurazione della realtà, ma è la personale visione ed interpretazione che ciascun fotografo ha di fronte alla realtà stessa. Quattordici immagini per raccontare un sogno, un ambiente che non esiste ma nel quale l’Autrice si è calata completamente, esplorando l’ India in quattro lunghi viaggi. Il sogno di Simona Ottolenghi lo si vede dalla luce che ha costruito essa stessa inventandola completamente in luoghi assolutamente bui. La fotografia quindi non racconta la realtà, ma addirittura ne reinventa la luce stessa che l’ha generata. In queste foto la luce e i colori vengono stesi, pixel per pixel, con Photoshop così come un pittore farebbe con i pennelli sui suoi quadri. La postproduzione delle foto che qui vediamo esposte, è maniacale. Serve a generare i contrasti che non esistevano, crea luci e dettagli dove non erano visibili, per Simona Ottolenghi il lavoro al computer è l’equivalente di quello che farebbe un regista sul suo set andando a comporre complessi schemi di luce con illuminatori di ogni tipo. Queste sono invece foto di reportage puro, scatto pensato ma istintivo. Il loro valore estetico e quindi emozionale è dato dal bisogno dell’Autrice di comunicarci non ciò che ha visto, ma cosa ha provato, o cosa avrebbe voluto vedere in quei luoghi. La Sua India è quindi frutto della sua immaginazione, e le sue foto sono frutto non solo dei suoi scatti ma del suo meticoloso lavoro successivo di fotoritocco con il quale ha saputo dare alle immagini quello che mancava alla nuda realtà, quello che l’occhio non ha visto e quello che il cuore non ha percepito.




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