Un giovane e un vecchio provano a coltivare un ulivo: è un esperimento, voglio vedere se in quella terra così arida vicino al Mar Rosso la pianta simbolo della pace riuscirà a mettere radici e vivere nel nome dell’identità di un popolo. E’ una delle scene ‘fermate’ dallo scatto del più grande fotografo di guerra del XX secolo,
Robert Capa ungherese di nascita, emigrato in Germania e poi in Francia e negli Stati Uniti, fondatore della famosissima agenzia
Magnum Photos.
Capa, di origini ebraiche e pacifista, ha raccontato le guerre che hanno sconvolto intere popolazioni del mondo. I suoi fotogrammi sono diventati i simboli stessi del coraggio, della paura, della felicità, del dolore, della forza, della speranza e della morte. La convinzione che per raccontare la guerra è necessario viverla ed esserci in mezzo ha portato Capa in Spagna per documentarne la guerra civile realizzando forse la sua foto più famosa che ritrae il miliziano colpito a morte. Armato solo delle sue macchine fotografiche e deciso a racconta la verità, Robert Capa va in Cina per il primo conflitto con il Giappone, si fa paracadutare con i soldati per riprendere l’attraversamento del Reno, mostra al mondo lo sbarco in Normandia e la liberazione di Parigi, la prima guerra arabo israeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina dove muore nel 1954 saltando in aria per aver messo un piede su una mina.
La mostra che Mercurio Promozioni propone, in collaborazione con Magnum Photos, si inserisce nel filone iniziato dall’agenzia toscana nel 2008 che offre al pubblico i lavori dei più grandi fotografi del mondo: dopo le mostre dedicate a Cartier Bresson e Berengo Gardin, le sale di Palazzo Pichi Sforza proporranno 46 scatti di Robert Capa realizzati in Israele tra il 1948 e il 1950.
Sono gli anni seguenti all’olocausto e Capa documenta le fasi iniziali della costituzione del nuovo Stato, la dichiarazione d’indipendenza, il voto del primo presidente, l’arrivo degli emigranti che trovano una prima sistemazione in campi di accoglienza, un’umanità che ha voglia di tornare a vivere ma che ancora non vede la fine delle violenze. Capa mostra le donne che studiano l’ebraico, la preghiera nei kibbuz feriti dalle raffiche di mitra prima del pasto, gli ospedali dove si curano i sopravvissuti, i feriti e i malati, ma anche il padre con la bambina in collo che sventola la bandiera dello stato d’Israele. Insomma un Capa prezioso e imperdibile, testimone con i suoi scatti di scene di guerra e di pace, dell’amore e della morte così come sono accadute davanti ai suoi occhi. Al di là di quell’inferno che gli uomini si costruiscono da soli, desidera raccontare la pace, o almeno la speranza della pace sui volti e i gesti di un popolo. Sprezzante del pericolo le fotografie fatte in quegli anni in Israele parlano molto del suo carattere, temerario e al tempo stesso innamorato della vita.
Gli scatti, tutti in bianco e nero sono realizzati prevalentemente con la Leica che Capa porta sempre in spalla e che lo caratterizzano insieme alla sigaretta perennemente in bocca. Muore a soli 41 anni dopo una vita straordinaria raccontata dai suoi reportage pubblicati dalle migliori riviste del mondo.
Testo e immagini tratti dal comunicato stampa ufficiale.
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