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Mostra

Valeria Floris - Piccole Storie

mostra di fotografia
Obiettivo Donna 2008

8 Marzo 2008 - 21 Marzo 2008
Officine Fotografiche
Via Casale de Merode, 17a - Roma
orario: 16:00-19:30 tutti i giorni, 10:00-13 il sabato, chiuso la domenica
info: 06 5125019 - of@officinefotografiche.org
www.obbiettivodonna.net
www.officinefotografiche.org
ingresso: libero

tags: floris, memoria, obiettivo donna, officine fotografiche, roma

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Valeria Floris nasce a Cagliari nel 1967, la fotografia è la sua professione e passione, ha esposto a Roma e Viterbo in diverse mostre e collettive.


mostra
Piccole storie


Nel dire della cifra narrativa della fotografia, si pensa in genere alla capacità che questa ha di rappresentare la continuità di un evento cogliendo in un’immagine statica l’istante saliente, l’attimo capace di raccontare l’evento stesso nella sua durata. La storia delle arti visive ci ha abituato ai gesti colti nel loro compiersi, all’espressione congelata di un volto, ai galoppi sospesi dei cavalli. E se ancora nella pittura questi erano presentati attraverso la loro meticolosa ricostruzione, e attraverso i codici più o meno assodati della loro rappresentazione, la fotografia ci ha presto regalato, invece, l’illusione che ciò che è colto sia colto in modo immediato: che l’istante immortalato sia stato salvato dalla continuità del divenire in modo naturale, senza la mediazione di un linguaggio. Nuovi gesti, nuove espressioni, galoppi mai visti prima, con la fotografia sono entrati nel repertorio iconografico della nostra tradizione, e il nostro sguardo ha imparato a decifrarli, con la rapidità sorprendente che si mostra immancabile quando si tratta dell’acquisizione di un nuovo linguaggio.

Le piccole storie di Valeria Floris hanno l’aria di giocare in modo molto sottile con questa grande storia. Il loro modo di raccontare ne è un possibile sviluppo, e insieme sembra mettere alla prova la capacità di lettura di chi su questa tradizione si sia formato. Ciò che queste immagini mostrano in prima battuta è forse proprio questo: uno scarto leggero rispetto alla consuetudine rappresentativa che ci è più familiare.
Va da sé, qui non è più una singola immagine a raccontare ciò che accade, ma una serie. D’altra parte, chi cercasse di ricostruire la continuità dell’accaduto legando un’immagine all’altra, si troverebbe presto a dove fare i conti con qualche difficoltà: la disposizione dei vari scatti nel racconto invita a una lettura sequenziale, suggerisce una durata, e insieme, però, la tradisce.

La lettura più attenta di queste storie rivela uno scorrere del tempo non sempre lineare. Raramente il montaggio della serie si articola avendo di mira l’arco di un movimento, e la continuità del gesto, quando pure è raccontata, risulta riconoscibile solo a tratti nel tempo dilatato che separa un’immagine dall’altra. Più spesso la plastica dei corpi sembra tenersi a distanza dal repertorio che la fotografia contemporanea ci ha reso abituale, e anche questo, senz’altro, contribuisce a mettere in crisi la nostra capacità di interpretazione: il nesso tra gli scatti contigui si allenta e le immagini in sequenza si presentano come semplicemente giustapposte, secondo una costruzione che verrebbe da dire paratattica. Non di rado la logica della sequenza, piuttosto che alla rappresentazione del movimento sembra rimandare alla tecnica musicale della variazione e ripropone uno stesso tema, dunque, mutato più o meno delicatamente, in una progressione che ci allontana dall’origine e squaderna lentamente, passo dopo passo, ciò che all’origine era in nuce.

mostra
Quali che siano gli artifici retorici adottati ci ritroviamo a fare i conti con l’infrazione frequentissima di una delle regole auree della fotografia: le singole immagini, raccolte nelle diverse sequenze, non sembrano affatto registrare l’attimo saliente di una durata. L’impressione è piuttosto che lo sguardo della fotografa si sia soffermato su ciò che sta a margine, abbia scelto di fermare di volta in volta un determinato istante proprio perché capace di raccontare innanzitutto la propria durata infinitesima, e solo secondariamente l’arco temporale che lo include. È come se l’occhio si fosse ostinato a scantonare rispetto a ciò che normalmente è preso di mira in frangenti simili. Così, se l’evento raccontato ancora ha luogo nella sequenza, è invece l’immagine singola a non aver più un proprio luogo naturale, e presentarsi per così dire spaesata.

Queste fotografie hanno l’aria di raccontare così come raccontavano i grandi ritratti fotografici dell’Ottocento. In queste come in quelli, ciò che resta è il racconto del tempo intimo, impiegato dalle cose per lasciare la propria impronta luminosa sulla pellicola. E ciò nonostante, ci è subito evidente, è anche loro essenziale l’esser parte di un insieme ordinato, l’offrirsi in una sintassi che le articoli in un discorso. E in definitiva è forse proprio da questo, dallo stato di bilico che vede ogni immagine parte essenziale di un continuo e al contempo la presenta come assolutamente chiusa in se stessa, è da questo equilibrio fragilissimo che le piccole storie raccontate da Valeria prendono vita e rivelano il loro senso.




Testo tratto dal comunicato stampa ufficiale.



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