La mostra ripercorre per oltre mezzo secolo -dagli anni '20 al '90- la vita professionale di questa grande fotografa. Le immagini esprimono l’incredibile percezione visiva di
Gisèle Freund, influenzata da diversi incontri,
milieu e culture, ed ispirata dalle luci e i colori dei vari paesi in cui ha vissuto e viaggiato. Le fotografie esposte rivelano la sensibilità del suo obiettivo, capace di proporre con intelligenza atmosfere, eventi e personaggi del tempo.
Il ritratto è l’ambito in cui questa artista si esprime al meglio. Nei suoi ritratti la fotografia diventa un mezzo per catturare la personalità dei soggetti raccontando la loro sfera più intima, le storie, i gesti e i luoghi. La Freund, con stile inconfondibile, utilizza il mezzo fotografico per restituire un momento particolare e rappresentativo di ognuno dei grandi personaggi da lei incontrati.
In mostra ritratti di André Malraux, James Joyce, Walter Benjamin, Virginia Woolf, André Gide, Tristan Tzara, T. S. Eliot, Jean Cocteau, Henri Matisse, Simone de Beauvoir, Marguerite Duras e molti altri ancora.
L’insieme delle fotografie e dei libri originali in mostra offre una visione globale dell’opera di Gisèle Freund e del periodo storico che ha attraversato, tra i più stimolanti e fertili del ventesimo secolo.
Catalogo: Silvana Editoriale
www.silvanaeditoriale.it
Testi di: Cristian Caujolle, Grazia Neri, Paola Riccardi
UFFICIO STAMPA
Galleria Carla Sozzani
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Agenzia Grazia Neri
tel. 02 625271
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paola.riccardi@grazianeri.com
Un esempio di libertà
Gisèle Freund scrive negli anni ‘80 una sua definizione estremamente onesta sul lavoro del fotografo e sul ruolo della fotografia che mi piace riportare qui: “Nella sua funzione sociale, la foto è oggi un mass media di importanza capitale, perché niente uguaglia la forza di persuasione dell’immagine, accessibile a tutti. Per un esiguo (aggiungo a quei tempi n.d.r.) numero di fotografi però, e io sono tra quelli, l’immagine è ben più che un mezzo d’informazione: attraverso la macchina fotografica essi esprimono se stessi”.
Mi premeva riportare questa definizione perché io trovo che con poche parole Gisèle dia una valutazione precisa del valore della sua grande produzione fotografica. Produzione che non è ancora stata esaminata nella sua interezza, ma che è stata resa possibile dalla incredibile vita di questa artista. Ho una grande ammirazione per la forza morale, la positività, l’entusiasmo e la grandissima cultura non solo letteraria, ma anche politica, di questa intellettuale che ha vissuto una delle vite più autenticamente libere (malgrado le grandi difficoltà obiettive, guerra e fuga dai nazisti, malattia e miseria, sradicamenti improvvisi), che io conosca, cosa che non sarebbe stata possibile senza la sua grandissima intelligenza e senza la mitica figura paterna. Non c’è giorno che non si legga da parte di studiosi neurologi filosofi una nuova definizione sull’intelligenza e una che mi è cara sostiene che l’intelligenza è la capacità di adeguarsi alle circostanze. Premessa: non una rassegnazione ma la possibilità data dalla flessibilità della propria mente, del proprio carattere, nutrita da una visione interdisciplinare del mondo, di adeguarsi alle mutevoli situazioni che la vita riserva sia per nostra scelta sia per destino. Ma perché questa flessibilità è possibile? Secondo me per un desiderio intimo di libertà, libertà di esprimere se stessi nel privato, nel pubblico, nel lavoro con quello che noi siamo malgrado le circostanze, per uno spirito avventuroso e un carattere positivo, per una educazione che privilegia l’altro rispetto a noi stessi, ricca di stimoli intellettuali, di letture precoci, di accettazione, di fatica e di studio, non vissuti come un peso, ma come una chiave di apertura verso la conoscenza e la mancanza di pregiudizio.
Cosa ha fatto di così straordinario Gisèle? Di fronte agli sradicamenti e alle avversità improvvise si è immediatamente resa operosa nel continuare la sua opera di documentazione rivolta a due settori precisi: il ritratto di intellettuali e politici, e il reportage. Non si è mai scoraggiata, ha trovato in se stessa la forza di adeguarsi a mondi e luoghi sconosciuti.
Cosa ha significato come figura mitica per me?
Prima ancora di sapere che la fotografia avrebbe avuto una parte importante nella mia vita, avevo da ragazza una voracità di lettura sulla quale costruivo e cercavo di capire il mio desiderio di libertà e soprattutto una ricerca di definizione della stessa.
Nei libri che leggevo e che amavo notavo sempre che la quarta di copertina riproduceva spesso la foto dell’autore che guardavo a lungo (si è estremamente infantili in questo gioco, per fortuna) come se attraverso quello scrutare avessi potuto vedere oltre quello che avevo letto. A fianco della fotografia leggevo spesso una citazione G.Freund. Forse da lì la mia passione per il diritto d’autore?
Quando a 18 anni la fotografia entrò inaspettatamente nel mio mondo e mentre la mia curiosità verso di lei diventava una necessaria ossessione, cominciai a considerare questo nome, Gisèle Freund, come un mito. Ma come aveva potuto accostarsi a tutti gli scrittori contemporanei viventi in Paesi e Continenti diversi?
Come poteva riempire l’immaginario di migliaia di persone con i visi di James Joyce, Virginia Woolf, Jean Cocteau, Raymond Queneau, Victoria Ocampo e altri ed altri ancora? Come aveva potuto trascorrere così tanto tempo e serate con i più grandi intellettuali e politici di un’epoca così significativa?
Come poteva avere scattato le foto di Walter Benjamin alla Bibliothèque Nationale di Parigi? E ancora come aveva potuto fotografare per tanti anni André Malraux comunicando in ogni immagine quella febbre di vita e di curiosità intellettuale inestinguibile? E come aveva potuto fotografare De Gaulle e Malraux insieme con un’inquadratura storica e con una luce mitica? Come aveva potuto realizzare una vita in cui la sua femminilità pur non essendo repressa (un matrimonio, un divorzio e dei compagni di lunga durata) aveva potuto competere con gli uomini in situazioni di difficoltà? Lei, con le conseguenze di una poliomelite con la quale pur zoppicando attraversò nel 1943 il Cile, l’Argentina, la Patagonia fino a Punta Arenas?
Intorno agli inizi degli anni ‘70 un giorno le scrissi una lettera esprimendole la mia ammirazione e le chiesi di rappresentarla. Accettò immediatamente e scoprii allora altri infiniti tesori della sua produzione, ma soprattutto cominciai ad apprezzare la sua biografia, la sua vita, la sua incredibile curiosità, la capacità di critica, la sua conoscenza politica delle cose. E cominciai a leggere i suoi scritti sulla fotografia e soprattutto il suo celebre libro “Fotografia e Società” (edito in Italia da Einaudi e recentemente ripubblicato in una nuova sofisticata edizione); uno dei libri più importanti per capire la fotografia, l’etica della commercializzazione, la nascita dei “magazines”.
Gisèle Freund scrive a proposito dell’incredibile consistenza della sua collezione di fotografie: “Non ho mai preteso di fare un’opera d’arte né di inventare nuovi linguaggi, ma ho voluto rendere visibile quel che mi stava a cuore: l’essere umano, le sue gioie, le sue pene, le sue speranze, le sue angosce… con un linguaggio accessibile a tutti”. E queste parole si riferiscono per me alle sue prime fotografie sulla nascita del nazismo a Francoforte e al suo primo grande reportage sugli scioperi dei minatori inglesi o alle foto dei Palestinesi e degli Ebrei scattate nel 1981.
Gisèle non ha mai smesso di fare soprattutto due cose: fotografare gli intellettuali che lei prediligeva e fotografare gli avvenimenti che accadevano dove lei si trovava o dove si recava per fare chiarezza. Non ha mai fotografato cadaveri, ma proprio per questo le sue foto hanno una forte componente politica. Le foto private fatte per Life di Evita Peron crearono un certo imbarazzo diplomatico con il governo argentino.
Ho incontrato Gisèle per l’ultima volta nel mio ufficio nella primavera del 1996, quando Lanfranco Colombo aveva fatto una mostra nella sua Galleria chiamata “Itinerari”. Aveva 86 anni ed era vispa e positiva come sempre. Scherzando con le sue piccole infermità si rallegrava di soggiorni in Bretagna che la ristoravano e del fatto che aveva ripreso a lavorare per Libération.
Abbiamo parlato di collezionismo e lei si sorprendeva felicemente e con civetteria della quantità di fotografie che le venivano richieste di scrittori celebri: non sono un’artista, diceva (e lo ha scritto diverse volte), per me invece lo è stata ed è stata una maestra. Da lei ho imparato l’importanza della didascalia corretta, del “credito del fotografo”, dell’integrità di un servizio, del recupero delle immagini preziose. Da lei ho appreso che la positività e il coraggio rendono la vita ricca e senza noia, da lei che adorava il suo papà ho trovato ancora una volta la forza di ricordare mio padre che per quel poco che ha vissuto così tanto mi ha dato nell’aprirmi allo studio e alla lettura.Tra le fotografie appese nel mio appartamento c’è la sua foto di André Malraux, bellissimo e affascinante, passionale. Sembra un attore dell’epoca. Per fare un ritratto così bisogna avere una conoscenza della persona ritratta sia attraverso le sue opere sia attraverso i suoi scritti.

Ho molti rimpianti.
Quando Gisèle Freund ha incontrato la allora bellissima e giovane Susan Sontag (entrambe autrici di due opere fondamentali sulla fotografia: Freund “Fotografia e Società”, Sontag “ Sulla Fotografia”) che cosa si sono dette? Come hanno interagito? Non sapevo di questa foto che ritrovo ora per la prima volta in questa mostra, non sapevo di questo incontro, e ora non posso chiederlo a nessuna delle due. E quando Paul Valéry, invitato nel 1939 dalla Sorbona di Parigi a celebrare il centenario della nascita della fotografia, scrisse un memorabile testo nel quale segnalò che: “La fotografia abituò gli occhi ad aspettare ciò che questi devono vedere, e dunque a vederlo”; chissà, tra tante altre importanti considerazioni sul mezzo, quanto avrà discusso con Gisèle che proprio in quel periodo fece un ritratto meraviglioso dello scrittore accanto alla sua disordinata scrivania.
Mi auguro che la Francia raccolga in futuro tutta l’opera e tutti gli interventi di questa straordinaria artista e le dedichi un museo. Chiudo con una frase da lei scritta in “Memoires de l’Oeil”: “Nei momenti di pericolo il mio istinto di conservazione si risveglia. Esso mi ha salvato la vita diverse volte”.
Così ha attraversato una vita mitica ed invidiabile che ci ha riempito di doni. Ha ragione la storica di fotografia Lydia Oliva nell’affermare “Non si può isolare l’opera di Gisèle Freund dalla sua vita”.
Grazia Neri
Testo tratto dal comunicato stampa ufficiale.
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