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Non dimentichiamo la "CAMERA OSCURA"

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Fotografia...
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  melisendo  [3 Maggio 2014 - 11:18] letto 821 volte
Prendo spunto dall'interessante, ed ovviamente molto personale, commento di kruger sulla foto attualmente in concorso "Laputa-Tra le nuvole" per sollecitare una discussione sul tema.

La mia esperienza di decenni di camera oscura mi porta a "rimpiangere" non poco la possibilità di dare forma alle proprie idee e ricerche giocando con i bagni, i tempi di esposizione, le luci, le maschere,le carte, ecc., nel campo del bianco/nero, con risultati oggi ancora difficilmente raggiungibili.

Allo stesso tempo, se si sfogliano le grandi riviste fotografiche, ed in particolare gli annali degli anni '60, '70, '80, nazionali ed internazionali, vediamo che buona parte delle immagini in formato digitale che oggi fanno scalpore allora erano la norma!

Altro punto che mi trova fortemente in contrasto con il commento di kruger è la sua visione della fotografia del futuro proiettata verso un percorso che nasce dal fantastico, dal surreale, dal metafisico…

Lascio agli artisti il compito di esplorare quei percorsi, come è sempre stato nelle arti figurative, mentre da parte mia rifiuto categoricamente che la ricerca fotografica del reale si riduca ad un "atto di puro congelamento della scena". 
  LightWriter  [4 Maggio 2014 - 00:28] letto 804 volte
Riporto qui il commento di Kruger alla foto del concorso di cui parla Melisendo:

"Ci sarebbe molto da dire su dove sta andando la fotografia, questo è l'esempio di un percorso che nasce non dal reale ma dal fantastico, dal surreale ,dal metafisico...E' , per me, il giusto indirizzo della attuale fotografia e del suo sviluppo futuro. Non ricerca del reale , in quanto il reale non esiste nella fotografia essendo un atto di puro congelamento della scena. Per fortuna i mezzi digitali ci hanno sgravato di tempi e costi altrimenti insostenibili, ed è ora possibile agire in post produzione più velocemente ed in campi fino a pochi anni orsono difficilmente percorribili. Nessun rimpianto quindi per l'analogico se i risultati sono questi.

Io credo, Melisendo, che anche Kruger sappia che le cose non stanno proprio così e che tutto è più semplice: quello che fotografi e congeli in quell'attimo è la realtà, a patto che sia l'esatto, puro e semplice aspetto originale dell'attimo che cogli. Se ne fai già prima dello scatto un'atto creativo, allora non lo è più, diventa - come credo sia per Kruger - un mezzo per ricavarne un'immagine visiva costruita dalla mente di un artista. Chiedo allora a Kruger: è solo a questo che servono le tue foto della vita dei villaggi indios, dei grandi scenari americani o delle città dell'India o dei leoni che sbranano le prede nella notte della savana africana?

In proposito vorrei segnalare il thread del 14/5/13 "Sul reportage e dintorni" aperto da Christian, contenente alcune considerazioni sul rapporto tra realtà e fotografia.

Segnalo anche i pochi minuti del video su Ferdinando Scianna (a 1 ora e 11 minuti dall'inizio) in cui si esprime così:
"(...) L'idea della fotografia, analogica o non analogica, come deposito della verità non sta in piedi, è "traccia della realtà" non deposito della realtà. La quantità di immagini che ci sovrasta non è incominciata con il digitale, è una progressione di carattere geometrico, alluvionale (...) La fotografia muore come strumento, come ponte tra noi e il mondo, tra noi e la realtà (...) per eccesso di successo. Per sintetizzare con una battuta - che secondo me implica una svolta ed è di più di quarant'anni fa: in un suo libro Marshall McLuhan racconta di un incontro tra un suo amico e una signora che aveva un bambino. "Che bambino meraviglioso!" dice lui; la madre replica: "E lei non l'ha visto in fotografia!". Questa frase, che in realtà implica una specie di spartiacque tra un mondo in cui la fotografia era un riferimento alla realtà e un mondo nel quale la realtà è un riferimento alla fotografia, significa appunto il rovesciamento delle cose. (...) Per quel che mi riguarda io uso il digitale, e anche i processi successivi, come fosse pellicola (...), questo intervento fa parte del linguaggio fotografico. Quello che non faccio e non farò mai è di cambiare le carte in tavola, del significato, del senso, del contenuto di relazione con
la realtà che ha l'immagine."
  kruger  [4 Maggio 2014 - 17:19] letto 790 volte
Concordo con quanto esposto da LighWriter e chiarisco meglio il concetto sul percorso futuro della fotografia o almeno di gran parte di essa. Io che professo l'analogico dagli anni 70 e che mi ritrovo a frequentarlo ancora oggi come mezzo di ricerca non lo rimpiango affatto come unico mezzo di fotografia. La libertà , ben gestita che ci permette il digitale non ha paragoni, sopratutto quando si tratta di reportage (del tipo India , Africa, Indios etc..) peraltro il peso delle attrezzature e dei rullini di varia sensibilità che dovevi trascinarti dietro era imponente e di difficile conservazione climatica. Indiscutibilmente quei miei reportage nascono sotto "vecchi concetti" e non fanno altro che ripercorrere situazioni già viste, saranno belli o meno, ma non si differenziano da un qualche cosa di già analizzato e sono certamente lontani dal concetto di creatività fotografica. Ciò nonostante pur essendo un conservatore in campo fotografico ritengo che il futuro della fotografia transiti ineludibilmente nell'onirico, surreale ,etc..come appare già in alcuni miei porfolio. Mi sono trovato ad entrare in questo percorso anche quando ho realizzato gli ultimi reportage in Cambogia, di prossima pubblicazione su questo sito. Nel primo ho ricreato un tipologico di fotografia datata, analogica, vecchia e coinvolgente nelle atmosfere cupe. Nel secondo ho voluto ricreare l'angoscia nel calpestare il suolo dove spuntano le ossa delle vittime dei Khmer Rouge. Dal punto di vista fotografico non è niente di trascendentale, sembrano foto molto caratterizzate ma "normali". In effetti se confronto gli originali fotogrammi e quelli post produzione si svela una differenza notevole. Le foto elaborate creano ,all'osservatore , quelle emozioni,che gli originali possono dare, solo ed esclusivamente, a chi ha scattato la foto. 
  Rosa  [5 Maggio 2014 - 16:53] letto 764 volte
Una bella discussione che merita sicuramente analisi e riflessione.
Personalmente provo un amore profondo per la fotografia analogica tanto che posso affermare, senza false ipocrisie, che preferisco la post-produzione in camera oscura, alla fase di scatto.
Ricordo ancora, come fosse oggi, la mia prima fotografia stampata (in ginocchio, in bagno e senza timer), fu un momento emozionante quanto effimero, poiché, i pochi mezzi e la poca esperienza nel campo, mi portarono ad un uso errato dei tempi di esposizione e così vidi per la prima volta formarsi un'immagine, ma, al tempo stesso, l'eccesso di luce, portò quella stessa immagine a scomparire nel giro di pochi secondi, trasformando la mia foto in un pezzo di carta nero( per inciso sono così affezionata a quel momento che ancora espongo il mio fallimento su una parete di casa).
Detto questo, sono anni ormai che non mi dedico alla camera oscura poiché non dispongo purtroppo di una stanza dedicata e il solo montare l'ingranditore, diluire i chimici e il serrare completamente alla luce la mia cucina, è un lavoro talmente lungo che sottrae il poco tempo a disposizione per la stampa vera e propria. 
Se penso al tempo e alle difficoltà impiegate x stampare un'immagine analogica, non posso che concordare con Melisendo sui risultati ancora oggi difficilmente raggiungibili in camera oscura però, anche l'utilizzo di un programma di fotoritocco necessita di tanto studio e dedizione.
Penso, ad esempio, alla prima volta che ho provato ad applicare questa pratica e mi riferisco alla mia fotografia "nasce, cresce, muore", presente sul sito, in cui tardai ben due giorni x l'elaborazione di quel concetto; con il tempo invece, ho acquisito una certa rapidità di esecuzione con risultati indubbiamente più soddisfacenti (anche se ancora lontanissimi dalla perfezione) concordando con Kruger sullo sgravo dei tempi e costi che il digitale ci ha regalato.
Sul concetto generale di arte e sull'indirizzo attuale delle fotografia invece, non mi sento di dare un giudizio perché credo che sia impossibile formulare un idea obiettiva del presente.
Penso alla rivoluzione di un Caravaggio e ai suoi quadri rifiutati, additato come eretico per aver dipinto con tanta realtà: "la madonna dei pellegrini" non venne acquistata dai committenti perché i popolani si erano presentati al cospetto della Vergine con i piedi e la cuffietta sporca; stessa sorte per "la morte della Vergine" in cui Caravaggio utilizzò come modella una prostituta annegata nel Tevere e il "San Matteo e l'angelo" che nella sua prima versione appare quasi analfabeta , con i tratti rozzi di un contadino (di esempi se ne possono fare molti).
Spontaneo è il paragone con il quasi coevo Bronzino, con i suoi ritratti idealizzati e preziosissimi. Un Caravaggio quindi, che all'epoca risultava tanto reietto, mise in pratica una rivoluzione artistica di portata tanto "futuristica" da venir riabilitato completamente solo 300 anni dopo grazie a Roberto Longhi.
Per questo trovo tanto difficile ipotizzare sul futuro della fotografia considerando che,  livello accademico, trova ancora difficilmente posto in facoltà umanistiche ( nel mio corso di laurea in st. dell'arte mancava completamente, non so se le cose sono cambiate)
Per quanto riguarda infine il concetto di reale sono convinta che dipenda dal fotografo, dal suo occhio e dalla sua sensibilità.
  Christian  [6 Giugno 2014 - 20:15] letto 695 volte

rilancio l'argomento introdotto da Kruger e poi ripreso qui da melisendo, a proposito del futuro, direi anzi già del presente, della fotografia. La mia impressione, cioè l'impressione di uno che ha appena sfiorato questo argomento, è che non vi sia una direzione ma molte, moltissime. Basti guardare, ad esempio, le proposte del nostro webmaster, sul suo blog http://becausethelight.blogspot.it/  


Di recente ho visto esposti i lavori del collettivo IRWIN, che a sua volta ha co-fondato il collettivo multidisciplinare NSK (Nuova Arte Slovena) dove le immagini (non solo fotografie, ma anche video, pittura, installazioni, talvolta accostate…) hanno un carattere spesso simbolico legato alla storia dell'Est Europa, oppure ad altri temi attuali. Soggetti ricorrenti come 'il seminatore', oppure un quadretto nero posto sul viso delle persone (forse un richiamo ai baffetti di Hitler?) ed altre immagini di non facile lettura, necessitano comunque di essere accompagnate da testi e spiegazioni scritte. Solo come esempio: un'opera formata da tre foto identiche accostate, o meglio la stessa foto riprodotta tre volte, sotto ognuna si trova il nome di un diverso autore, dovrebbe suggerire una riflessione su quanto il valore della foto sia influenzato dal nome e dalla notorietà dell'autore stesso. Esposti anche alla biennale di Venezia e al MoMa di NY.

http://www.irwin.si/

http://times.nskstate.com/category/exhibitions/


Chissà quanti generi di fotografia esistono, che forse nemmeno hanno un nome, un'etichetta con cui classificarli (e di cui, comunque, io so ben poco). I vecchi generi con cui si definiva la fotografia (pittorialismo, straight photography, fotografia documentaria, reportage, street, eccetera…) pare non siano più sufficienti a descrivere le mille direzioni individuali che ogni singolo fotografo sembra volere cercare. Confesso di trovarmi a volte nel dubbio sul giudizio da dare ad alcuni lavori: se vederci una ricerca personale, intima, il tentativo di esteriorizzare con le immagini sensazioni ed emozioni interiori, di mostrare l'intangibile, l'impalpabile, il sogno, e che spesso necessitano di essere accompagnate da testi scritti per suggerire almeno una direzione a chi le osserva, a volte, perplesso. Oppure vederci, più banalmente, una originalità fine a se stessa, distinguersi per distinguersi, e poi magari infarcire con le parole ciò che le immagini non riescono a dire… Con il fastidio non sapere come interpretarle e spesso col dubbio, che puntuale sopraggiunge, che forse sono io che non le capisco… 

Detto questo, i miei (attuali e forse elementari) gusti mi portano a preferire immagini con un contatto stretto con la realtà, con la documentazione, magari un contenuto sociale e informativo, e mi piace scoprire che anche questi vecchi generi di fotografia possono avere qualcosa di nuovo da dire, possono ancora evolvere o almeno essere presentati in modo diverso:


Un anno fa ho acquistato un libro, di cui già conoscevo il sito internet. Fotografia di reportage, né più né meno, ma presentata in maniera moderna, sfruttando le opportunità di internet nel modo migliore: lasciando all'osservatore la possibilità di scegliere il luogo del reportage (suddiviso in 4 città), con un testo di presentazione, audio con i rumori del luogo nelle fotografie di esterni, e immagini di interni nei quali ci si può 'muovere' a 360° con il mouse mentre si ascolta una breve intervista al padrone di casa. Jonas Bendiksen è un fotografo Magnum.  http://www.theplaceswelive.com/ 


Che dire poi della fotografia naturalistica? Bella, ma quanta distanza dall'arte! E' possibile che evolva, in qualche modo? credevo di no… Poi mi è capitato tra le mani tale Nick Brandt. Gli animali, presi da distanze pericolosamente ravvicinate, sembrano in posa per lui, fieri, perfetti come statue greche, nulla è fuori posto, neanche fossero in uno studio fotografico. E' stata definita fotografia 'monumentale' o 'epica': mai l'elefante è apparso così possente, il leone così fiero, le zebre così eleganti… perfino la morte è immobile, piertificata come una statua (si veda la serie ACROSS THE RAVAGED LAND parte 1)

http://www.nickbrandt.com/Portfolio.cfm?nK=7648&nL=1&nS=0


Senza nulla togliere a chi sperimenta strade più intime e del tutto inesplorate, penso che a volte anche vecchi generi fotografici possono essere re-inventati e riproposti in modo nuovo, ed anche in questo sta la bravura di un fotografo.




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